RIMINI NEL CUORE

26.06.2023

Un allenatore è un po' come una bella donna: quando inizi a frequentarla tendi a notarne i numerosi pregi, mentre con il passare dei mesi, o addirittura degli anni, questi lasciano sempre più il posto ai difetti, o quelli che per te sembrano essere tali. E non ci sono sempre stati, ti verrebbe da chiederti? Evidentemente si, ma il tempo cambia le cose, o almeno il modo con il quale le guardiamo. Così, il mio approccio con Rimini è stato entusiasmante e la squadra che allenavo, che ha giocato un buon calcio per mesi in un campionato difficile e pieno di incognite come quello della serie D, ha via via fatto breccia nel cuore di una tifoseria che in quel momento era più delusa che altro, scottata pure da illusioni e disillusioni che si erano rincorse negli ultimi anni lasciandola con un pugno di mosche in mano, o poco più. Poi, è arrivata la serie C, con le sue complessità e le sue peculiarità, assolutamente diverse da quelle del mondo dilettantistico e il nuovo gruppo che mi sono trovato a gestire, nato dall'unione di due grandi anime (vincitori della D e calciatori di categoria) è partito con una sana dose di incoscienza e si è tuffato nella nuova avventura raccogliendo punti (anche più di quelli che ci si aspettava) e mostrando una discreta amalgama soprattutto rispetto a chi, in quel momento, da quel punto di vista era ancora in alto mare. Sembrava che la stagione potesse essere più semplice del previsto ed invece il difficile doveva ancora arrivare, perché le problematiche solo in parte coperte dai primi risultati necessitavano di essere affrontate, anche in maniera brusca, per venir limate e sperare di garantire ancora risultati in futuro e invece in quel momento è iniziata una fase di sofferenza che è di fatto durata fino al fischio finale dell'ultima partita a Pontedera. Così, in un girone di ritorno che ha avuto del paradossale almeno quanto (al contrario) lo aveva avuto quello di andata, con quelle poche partite ben giocate che non hanno portato punti e le altre che hanno spesso rappresentato una sorta di "vorrei ma non posso", dove si smetteva di segnare se ci si chiudeva troppo in difesa (trovando solidità) e si veniva costantemente asfaltati a campo aperto ogni volta che si decideva di tornare a pressare alti gli avversari, anche i miei pregi (o presunti tali), che erano emersi soprattutto durante il primo anno e mezzo di lavoro, sono stati coperti dai difetti (o presunti tali) che la stiticità della squadra negli ultimi mesi non poteva evitare venissero a galla.

Un amore finito? Da parte mia, assolutamente no. Semplicemente un'inevitabile evoluzione delle cose, che poi mentre le vivi sono sempre estreme e lasciano poco spazio ai ragionamenti, ma poi, col passare dei giorni, a mente fredda, emergono per quello che sono, e cioè parentesi di vita che ti portano a conoscere e farti conoscere da un territorio e la sua gente, percorrere assieme un tratto di strada e poi salutarti, come è normale che sia, portando con te pezzi di vita che non si potrebbero nemmeno raccontare e lasciando, sparso qua e là, qualche bel ricordo.

Quello che difficilmente possono intaccare le opinioni, sono i fatti. E quelli ce li teniamo stretti (sia io, sia il Rimini), perché se due anni fa, quando arrivai in punta dei piedi dopo due anni di lock-down e un'esperienza non felice di pochi mesi tra i dilettanti della Puglia, mi avessero detto che avrei vinto il campionato e l'anno seguente sarei arrivato alla fine senza mai rischiare di rimanere invischiato nella lotta salvezza e avrei giocato i play off, avrei firmato col sangue. Certo, l'appetito vien mangiando e a gennaio ero convinto che si potesse far quadrare il lavoro di campo in modo tale da permettere alla squadra di fare più punti di quelli che ha fatto da lì alla fine (i trentuno dell'andata erano un'enormità ma i sedici del ritorno sono stati drammaticamente pochi), e passerò chissà quante settimane a rivedere, frame dopo frame, l'intera stagione per capire in che modo e quando si poteva intervenire in modo diverso per riuscirci (del senno di poi son piene le fosse, scriveva Manzoni).

Una cosa mi sento di dire che questa stagione me l'ha regalata: l'esperienza. Che è una cosa fantastica, che solo dopo che hai vissuto e l'hai fatta tua puoi veramente apprezzare, che molti vorrebbero poter far propria, anche pagando se servisse, e invece è riservata a pochi privilegiati che possono permettersi (e non è poco) di uscire dal marasma delle ipotesi e delle chiacchiere e confrontarsi direttamente col campo di battaglia, sbagliando in prima persona, analizzando gli errori e cercando anche di fare cose buone, godendone i frutti. Un'esperienza che porterò con me e mi aiuterà ad affrontare i prossimi ostacoli che la vita professionale mi riserverà, che ho potuto fare grazie a Rimini e alla sua gente (con un Presidente che è stato perfetto nell'accompagnare la sua "macchina", con rispetto e serietà, che sono poi le due doti più grandi che un presidente possa avere).

Dopo aver vinto i campionati di Gozzano e Lecco, quando guardavo alla serie D, pensavo che sarebbe stato difficile trovare una piazza che, per storia, bacino d'utenza e prestigio potesse stimolarmi nel cercare di rischiare in prima persona per centrare un'altra impresa. E invece questo è stato possibile, grazie ancora una volta alle persone (Maniero e Peroni su tutti) che hanno vissuto la sfida, esponendosi e rischiando almeno quanto me, il che ritengo essere l'elemento indispensabile per avere successo in un mondo così pieno di insidie come quello del calcio.

È con la stessa discrezione con la quale sono arrivato che oggi, a due anni di distanza, mi faccio da parte, in attesa di capire cosa mi riserverà il futuro (è il bello di questo lavoro e non cambierei mai il brivido che dà questa incertezza con le certezze preconfezionate della maggior parte delle altre professioni). Ho sempre pensato che stare troppo tempo nello stesso ambiente di lavoro sia poco positivo sia per sé che per gli altri. I cicli sono fatti per essere portati a termine e vanno capiti, e come ho detto nell'ultima conferenza stampa, spero di cuore che quello attuale possa essere un punto di partenza per l'intera città di Rimini oltre che per la società e per tutte le persone che continueranno a lavorarvi.

Ai tifosi, la maggior parte, dico di essere fieri di quello che la società sta facendo, di non guardare sempre e solo chi sta meglio e di tener presente il fatto che ci sono anche molte realtà grandi come o più di Rimini che vivono situazioni sportive decisamente peggiori. Questo per dire che non è tutto scontato. A quella parte di stadio che negli ultimi mesi ha contestato (a volte a ragione) ribadisco il mio pensiero, che non pretende assolutamente di diventare quello di tutti, ma che in quanto tale va perlomeno rispettato: questa squadra ha avuto difficoltà enormi e solo alcune di esse sono venute alla luce, ma quasi mai non ha sudato la maglia. Lo dico da dentro e mi farebbe molto più comodo dire il contrario. Mantengo una visione del tifo che è soprattutto di sostegno, specie durante il percorso e specie quando le cose sono difficili e i risultati stentano ad arrivare. Lo dissi, seppur bacchettato, dopo Pesaro che illudersi era pericoloso e che lo stadio non andava vissuto come un teatro, dove applaudire o fischiare lo spettacolo visto, ma semmai come un gioco interattivo, dentro al quale si gioisce ma anche si soffre e si combatte assieme ai propri beniamini, e non al posto di essi o addirittura contro. Visione romantica di un fenomeno comunque complesso? Può essere, ma questo penso.

Porto con me i punti fatti e le emozioni vissute e spero col cuore di poter vedere questi colori trionfare il più possibile nel prossimo avvenire.