FBC GRAVINA: I PERCHE' DI UNA SCELTA E ANALISI DEL MOMENTO
In un momento in cui il rimanere
a casa era diventato particolarmente pesante, non solo a causa del lockdown che
tutti bene o male siamo stati costretti a subire durante il 2020, ma anche per
una distanza dai campi di calcio che perdurava ormai da più di un anno, alla quale
non ero assolutamente abituato, ho deciso a ridosso del Capodanno di accettare una sfida diversa, ardua,
ma che mi dava in quel momento i giusti stimoli per rimettermi in gioco. Lo so
che quasi tutti si sono chiesti come mai con il percorso che avevo fatto fino a
quel momento (due campionati di D vinti e un contratto in C negli ultimi tre
anni) abbia accettato una situazione apparentemente così compromessa, ma la
risposta è molto semplice, almeno per me: capito che in serie C non si
sarebbero aperte porte (non sta a me dire se giustamente o meno, ho imparato in
questi anni ad accettare quello che dice il campo, nel bene o nel male) ho
cercato una situazione in D che fosse completamente diversa da quelle che avevo
vissuto negli ultimi anni. Girone nuovo, aria del Sud, situazione di classifica
difficile... gli stimoli non potevano non esserci e onestamente non mi sono mai
spaventato di fronte alle difficoltà e non mi interessa e non mi interessava
rispettare un cliché ideato non si sa da chi, secondo il quale si dovrebbe per
forza ambire a un gradino sempre più alto. La logica non fa parte di questo mondo,
ma di quello del calcio ancor meno, ci sono allenatori che vengono da esoneri
ripetuti e trovano continuamente squadra, altri che vincono e non vengono
presi in considerazione nelle categorie superiori, chi un anno fatica in una
realtà e l'anno dopo viene cercato da società molto più blasonate e chi fa bene
in piazze anche importanti e sistematicamente considerato inadatto. E'
così. Quindi ero convinto e (e lo resto) che l'esperienza che ho deciso di
fare fosse e rimanesse fine a sé stessa rispetto a quello
che avrò voglia di fare a partire da dopodomani.
Perché proprio l'FBC Gravina? Probabilmente ha influito la presenza di un direttore sportivo che conoscevo (anche se non ci avevo mai lavorato assieme) e le testimonianze di chi ci era stato che si trattasse di una realtà seria, specie per un Sud Italia che troppe volte propone situazioni calcisticamente ambigue. Inoltre, c'era da cimentarsi col famigerato girone H (che poi, per quanto visto, è sicuramente più impegnativo per il numero di squadre attrezzate "a vincere" che vi partecipano, ma risponde alle logiche del calcio che regnano in tutti i gironi e in tutte le categorie per tutto il resto...).
Nel giro di pochissimi giorni, quindi, sono stato contattato, ho discusso di alcuni punti con i dirigenti via Skype, ho preparato i bagagli e sono partito. Era troppa la voglia di tornare a fare il mio lavoro e oggi non sono assolutamente pentito di aver seguito il mio istinto, ancora una volta.
Che cosa ho trovato? Diciamo una realtà in difficoltà. In grossa difficoltà. Un conto è quando le cose te le illustrano a distanza ed un altro ovviamente quando le conosci in prima persona. Innanzitutto, la rosa: assolutamente incompleta, in una realtà che era partita con qualche idea ma poi, di fronte ai problemi relativi al Covid che hanno afflitto l'intera serie D nei mesi di ottobre e novembre, aveva chiaramente semi-smantellato il parco giocatori, in attesa di capire cosa sarebbe successo. Avevo ricevuto rassicurazioni sul fatto che si sarebbe intervenuti per "risistemare" il tutto, ma tempo ce n'era poco e partite da giocare tante. Così, in cinque giorni ho preparato il mio "impatto" con lo spogliatoio, mi sono fatto conoscere, ho conosciuto e ho preparato la prima gara, e in meno di un mese (dal 6 di gennaio al 3 di febbraio) ho affrontato, assieme a uno staff tecnico conosciuto in loco e grazie alla preziosa consulenza a distanza del mio fido Boffetti, sette gare di campionato. Come? Con quello che c'era, senza mettere in discussione il materiale umano e tecnico che avevo trovato, visto che non lo conoscevo.
Le difficoltà non riguardavano, però, soltanto la rosa. Era (ed è, non dimentichiamolo) un momento storico per l'intero nostro Paese davvero critico, unico nel suo genere (quindi mai vissuto) e drammatico. Il calcio non è esule, ovviamente, nonostante le famigerate bolle che si cercano di creare e nelle quali spesso noi sportivi pensiamo di vivere. Parliamo di criticità ambientali legate all'assenza di pubblico, alla difficoltà a mantenere le collaborazioni dei cosiddetti "volontari" da parte delle società (essendo essi spesso anziani e particolarmente a rischio), a quelle logistiche ad ospitare i calciatori (il famoso vitto e alloggio, con strutture che devono subire non solo le restrizioni del lockdown, ma anche la crisi economica che esso porta con sé).
Sette partite che mi hanno davvero riempito di soddisfazione, nonostante l'ultima contro il Bitonto in casa ci abbia visto per la prima volta giocare una gara opaca. Abbiamo vinto? Solo una gara. Poco, quindi. Ma non è quello. E' il gusto di ritrovarsi in mezzo a un campo a "insegnare" calcio tra ragazzi totalmente disposti ad ascoltarmi e a mettere in pratica quanto proposto, il piacere di vedere la domenica (e il mercoledì) una squadra portare con passione tutto quello che viene richiesto in allenamento. Bello, davvero. Una sensazione che non provavo da anni, perché i campionati di vertice ti portano per forza di cose a gestire giocatori forti ma molto spesso "più viziati" e devi sottostare a compromessi, mediare, a volte gestire più che allenare. Qui invece si lavora e basta e per un allenatore questo è vitale. Una vittoria, tre pareggi e due sconfitte (entrambe per 0 a 1), e tanti "applausi" che servivano come il pane a me per ritrovare quell'entusiasmo che si era arrugginito e all'ambiente per tornare a sperare e vedere la luce dopo mesi davvero probanti e una classifica deficitaria.
Gravina è una realtà relativamente nuova per la categoria, ma negli ultimi anni ha allestito anche squadre ambiziose, che hanno dato soddisfazioni ai tifosi, vedendosi poi costretta a ridimensionare fortemente budget e aspettative quest'anno, viste le difficoltà note relative al periodo storico che tutti conosciamo.
A quel punto, però, un nuovo tranello era dietro l'angolo ad aspettarmi: il Covid. Non personalmente (lo avevo contratto a marzo) ma verso il gruppo squadra. Uno, tre, dodici contagi nel giro di una settimana, rinvio delle partite e, dal punto di vista tecnico, il baratro. A questo è giusto aggiungere il forfait di un paio di giocatori che fino a quel momento rappresentavano l'ossatura della pur menomata rosa. Forfait sui quali si potrebbe discutere una vita, ma che rispondevano al preciso desiderio di cambiare aria di qualcuno, vuoi perché le offerte migliori da altre parti non mancavano, vuoi perché, evidentemente, molte delle difficoltà citate nelle righe precedenti non per tutti rappresentano una sfida stimolante.
Non si trattava, quindi, soltanto di completare una rosa che aveva perso dei pezzi in autunno, ma di stravolgerla, andando anche a sostituire giocatori che avevano fatto bene nel mese di gennaio. Una vera e propria rivoluzione.
In questo devo ammettere che il direttore sportivo Gabriel Maule e il direttore generale Pino Costantiello si sono dati un gran da fare per cercare di creare un qualche cosa che fosse il più possibile competitivo, anche se alle difficoltà andava aggiunto l'evidente scarso appeal di una realtà che si trovava sempre più sul fondo della classifica (le gare da recuperare aumentavano, ma questo non aiutava a invogliare i giocatori a unirsi al progetto) e un budget che, seppur in parte rivisto, non poteva essere in grado, da solo, di dirottare a Gravina chi, buon per lui, navigava da altre parti in acque più tranquille.
Alla fine in trentacinque giorni di stop, nei quali ci si è trovati a lavorare al campo prima in dieci, poi in dodici e solo alla fine in un numero adeguato, in grado di potersi definire squadra, si sono aggiunti alla rosa ben undici calciatori nuovi, che prima hanno iniziato a conoscersi tra loro e poi, mano a mano, hanno incontrato i negativizzati che si univano al lavoro di campo. Dopo una settimana esatta di allenamenti con la squadra "nuova" si è scesi in campo contro il Picerno (una delle vere corazzate del campionato) e fornendo una prova gagliarda, con un briciolo di buona sorte che ci era mancata in tutto il mese di gennaio, si è riusciti a portare a casa un punto d'oro.
Bene! Entusiasmo in tutti, aspettative che per forza di cose crescevano e uno scontro diretto dietro l'angolo (quello col Brindisi) che in teoria aspettava soltanto di essere vinto, per chiudere un cerchio diceva qualcuno, perché era giusto così, perché eravamo più forti, perché era il momento di svoltare...
E invece, anche nel calcio, a volte capita che quello che vorresti accadesse, non accade.
Una squadra che, anche galvanizzata dal punto colto col Picerno, aveva lavorato con grande carica, un gruppo che lottava contro il tempo per affiatarsi, una rifinitura fatta a palla e un prepartita nel quale l'unica cosa che non mancava era la concentrazione, bastava guardare gli occhi dei ragazzi. Tutto faceva ben sperare. E invece... Pronti via e capisci subito che non ci sei, annaspi, gli altri, seppur alla portata dal punto di vista tecnico vanno il doppio, tu provi in mille modi a entrare in partita ma non ci riesci e una frittata in difesa regala addirittura gli insperati tre punti agli avversari, che si ritrovano rilanciati in classifica rispetto a una lotta salvezza che non perde occasione per ricordare a tutti che va sudata fino alla fine.
Dramma sportivo. Staff tecnico incredulo, dirigenti che, delusi, si arrabbiano, tifosi che vedono una vittoria spesso immaginata nei giorni precedenti volare via di fronte a un'apparente incapacità della squadra di reagire, di mostrare il giusto mordente, di gridare presente.
Tutto vero.
Una cosa, soltanto una cosa, però, mi preme ricordare: l'andamento degli ultimi tre mesi che ho appena descritto. Si, perché non si tratta soltanto di un susseguirsi frenetico di eventi, da far scivolare ora in qualche cassetto della memoria e magari da esorcizzare ogni tanto. Non si tratta di cose accadute in un'altra vita o che non hanno lasciato segni.
La classifica dell'FBC Gravina (che attualmente manca di quattro partite e che quindi si fa fatica a interpretare) dice che la squadra deve lottare con le unghie e i denti per restare aggrappata alla categoria. E questo dirà, se saremo bravi, fino alla fine del campionato. Il gruppo che è appena nato, lo sa e farà di tutto per dimostrarlo in campo. Bisogna però ricordare che quella classifica è il frutto di diciassette giornate (ad ora) che hanno visto passare per lo spogliatoio almeno una quarantina di giocatori. Nuovi compagni, vecchi compagni, nuovi schemi, vecchi schemi, vittorie, sconfitte, progetti creati, azzerati e riproposti. I quindici punti attuali sono frutto di tutto questo e vengono (giustamente) messi sulle spalle di un gruppo totalmente nuovo che deve trovare la forza di migliorare la media punti da qui alla fine. Un gruppo formato da ragazzi che una settimana fa manco sapevano il nome di tutti i compagni, o che provengono da realtà nelle quali lavoravano in tutt'altro modo, o che sono sati un mese chiusi in casa con questo Covid e dopo due o tre allenamenti gli si è chiesto di andare in campo e ci si è pure meravigliati di qualche errore di troppo. Tutto questo non è normale. Tutto questo è eccezionale e spero per il bene dello sport che nei prossimi anni mai abbia a ripetersi. Il fatto è che, pur essendo eccezionale, la ricetta per portare la nave in porto risponde a logiche fin troppo ordinarie: creare un gruppo, farlo lavorare, portarlo a fornire prestazioni sportive. Guardandomi in giro invece vedo molto isterismo, sia in serie C, ma anche e soprattutto in D, con realtà che ragionano come se le condizioni fossero le stesse di sempre. Con che risultato? Aumento della confusione, basta guardare l'andamento delle squadre nei vari campionati. Vogliamo parlare di un calciomercato sempre aperto? Una follia.
La tentazione, nel calcio, di dire "questo è buono" e "questo no" ogni volta che si perde e qualcuno commette un errore è davvero tanta, ma è un modo di pensare che esclude l'importanza del lavoro di campo e non prevede la possibilità che si possa migliorare, che invece dovrebbe essere sempre alla base di ogni valutazione tecnica che rinneghi la casualità come unica responsabile di episodi favorevoli (e la sfiga di quelli contrari).
I miracoli sportivi esistono, quindi è giusto crederci. La domanda è: si è consapevoli che si sta parlando di un miracolo sportivo? Al momento non esiste un addetto ai lavori che indichi in più di sette-otto squadre il lotto di quelle che si giocheranno la salvezza fino alla fine. Di queste solo due potranno evitare i play out, mentre due retrocederanno direttamente. La nostra squadra in questo momento è ultima, seppur assieme ad altre due compagini e potendo contare su un numero più alto di gare da recuperare. Quindi bisogna sapere cosa si sta cercando di fare. E in ogni categoria, in ogni sport, i successi si basano sulla combinazione di semplici ingredienti che la drammaticità del momento non può sovvertire. Nel calcio nel medio-lungo periodo chi ha più valori tende a vincere, e per cercare di risalire posizioni in classifica è indispensabile aggiungere al proprio valore il lavoro di campo.
"Gravina era abituata ad altro" mi ha detto domenica un tifoso per strada. Lo so. Anch'io. Ma quello che sta succedendo in questo anno maledetto solo chi lo sta vivendo lo può capire e se si vuole che i risultati sportivi non dipendano solo dalla casualità bisogna aggrapparsi a quel lavoro di campo e, soprattutto... alle persone.
Io garantisco che più passerà il tempo e più la condizione psico-fisica dei miei calciatori migliorerà, nonostante le difficoltà, e non si vedrà più una squadra così "vuota" come quella vista contro il Brindisi. Chi vuole bene ai colori giallo blu, invece, cerchi di stringersi intorno alla squadra per far capire quanto conti per tutti il raggiungimento dell'obiettivo e la accompagni in quello che sarà un percorso durissimo.
Dopo le prime prestazioni incoraggianti seguite al mio arrivo nel mese di gennaio gettavo acqua sul fuoco dell'entusiasmo di dirigenti e appassionati, perché di calcio ne ho visto un po' in questi anni e capivo che serviva ben altro per salvarsi. La correlazione tra prestazioni e risultati esiste ma non è assoluta e soprattutto questi ultimi sono influenzati da altri fattori, altrettanto importanti, quali la qualità individuale e il valore assoluto dell'avversario durante il confronto. E quella rosa era troppo incompleta per pensare di potersi basare solo sulle prestazioni. Dopo le ultime due partite e questo difficile ritorno (si spera) alla normalità, mi trovo a gettare acqua sul fuoco dell'impazienza, che se mescolata ad un po' di paura rischia di diventare un incendio e di rovinare il percorso, seppur tortuoso, che dall'inizio dell'anno ad oggi l'FBC Gravina ha intrapreso per cercare di raggiungere l'obiettivo del mantenimento della categoria.