CASO ASTORI: GIUSTO FERMARSI?
E' un dibattito eterno. Giusto fermarsi di fronte alla morte? E se si, fermare cosa? E quanto? Ricordo quando nel 2005 partecipai a un dibattito televisivo in Trentino sull'opportunità di fermare il calcio italiano di fronte alla morte addirittura del Papa, Giovanni Paolo II. Che poi non è detto, perchè un protagonista diretto, quale è stato Astori, può "toccare" di più rispetto a una grande personalità comunque indirettamente legata al mondo dello sport come era il pontefice polacco. La questione però è un'altra. Cosa significa fermarsi? Rispettare? E perchè si è spesso tentati dal farlo quando avviene qualcosa del genere? Per rispetto? Per decenza? La risposta non è di certo scontata e a volte, solo parlandone, si rischia di sollevare un polverone più grande di quello che già di per sé è racchiuso nella scelta di fermarsi.
Ci può essere una questione legata ai protagonisti diretti. Colleghi calciatori che lo conoscevano più o meno direttamente e che sarebbero stati costretti a scendere in campo diciamo in una condizione psicologica non ottimale. Questo però non ha un confine di categoria... Ci saranno anche amici suoi che giocano il Lega Pro o in D... Difficile però pensare che il motivo principale sia stato questo. La morte, che ci piaccia o no, fa parte della vita (non è un paradosso) e milioni di persone ogni giorno sono costrette ad adempiere ai loro doveri di cittadini, genitori, mariti, compagni lavorando nonostante i dolori che il quotidiano divenire si tira dietro. Calciatori privilegiati anche in questo senso?
Qualche maligno potrebbe pensare che, essendo la lega si serie A commissariata ed essendoci su di essa una forte ascendenza politica, avendo il mondo del calcio gli occhi della Nazione puntati addosso e, soprattutto, essendoci le elezioni politiche, fosse quantomeno inopportuno permettere ai "soliti" di gridare allo scandalo se si fosse giocato. Perché è così che sarebbe andata. Centinaia di post sui social e di articoli si sarebbero riversati come fiumi sulla giornata di campionato chiedendosi se fosse davvero stato giusto scendere in campo nonostante la morte eccetera, eccetera, eccetera.
O magari è stata una scelta di pancia, sollecitata da qualcuno più direttamente coinvolto nell'accaduto, penso a qualche suo compagno recente o a qualche società che lo ha visto giocare con la propria maglia.
Una cosa però va chiarita: non esiste associare il rispetto al "non gioco" per un calciatore, come per uno sportivo in generale. E' un'assurdità. Chi fa questo mestiere vede la gara come il momento culmine dei propri sforzi e, perchè no, sacrifici. Un giocatore o un allenatore vorrebbero scegliere di morire in campo tanto quanto un cantante sul palco o un pittore durante l'inaugurazione di una sua mostra. Giocare per qualcuno è una cosa bellissima e ha risvolti non solo motivazionali ma di sicura nobiltà d'animo. E allora: perchè negare alla maggior parte di coloro che lo conoscevano la possibilità di scendere in campo e "onorare" subito l'amico? Non dico della gara in sé (Udinese-Fiorentina), ma delle altre. Ecco però che si finisce con il perdere il senso dei confini... Una si e le altre no? Giusto fermarle tutte. E le gare dei campionati minori? Fino a che punto era "giusto" stoppare?
L'altra cosa che va chiarita è quella relativa alla riflessione. Riflettere su cosa? Sulla morte? Chi? I calciatori? Gli addetti ai lavori? I tifosi? Sulla morte, ahimè, ci riflettiamo ogni giorno, tutti. Non servono questi avvenimenti che coinvolgono personaggi famosi per ricordarcelo. Anzi, l'unica cosa che accomuna tutti, gente che vive sotto i riflettori e gente qualunque è proprio la morte. E che si può morire ad ogni età, non per forza per "colpe", ma per eventi o cause tra le più disparate è noto. E che questo sia quasi sempre "ingiusto", anche.
Allora prendiamo atto del fatto che un atleta se ne è andato. Sicuramente troppo presto. Ringraziamo, se così si può dire, la Lega di serie A che ha deciso di regalarci un pomeriggio intero nel quale potersi chiudere nel dolore in maniera direttamente proporzionale a quanto la drammaticità dell'evento coinvolga in prima persona, come avviene per tutte le morti. Di sicuro ne saranno sollevati quegli atleti o addetti ai lavori che con lui ci hanno trascorso anni, pezzi di vita e di lavoro e che proprio non se la sarebbero sentita di "lavorare".
Per tutti gli altri sarà una domenica semplicemente da riempire in modo diverso. Giustamente? Giustamente.