UN CAPOLAVORO DI GESTIONE

08.05.2018

Il triplice fischio finale non l'ho nemmeno sentito. Erano già troppi i pensieri che come in un vortice mi stavano divorando il cervello. Mi sentivo come un condannato davanti al plotone di esecuzione, ripensavo alla stagione e aspettavo solo di sentire il rumore dello sparo: il gol del Como. Perché ero certo sarebbe arrivato, era solo una questione di minuti, di secondi forse. Un gol che avrebbe cambiato la storia, cancellando quanto di buono era stato fatto fino a quel punto. E' uno sport di confronto, non dipendiamo solo da noi, molte volte ce lo dimentichiamo. Se arrivi primo sei bravo, se arrivi secondo sei un perdente. E' il calcio, non c'è da stupirsi. Eppure bastava battere l'Arconatese, una squadra battibile. Già, eppure... Ma l'ultima giornata storicamente è una cosa a sè, come lo è la prima. L'aspetto psicologico rischia di incidere molto più dei valori. E il Gozzano è formato da calciatori forti, ma che in rare e isolate occasioni avevano vinto. Aspetto rilevante, che impedisce ai pensieri positivi di resistere nei momenti di difficoltà. E così' è bastato un episodio (rigore per i nostri avversari dopo nostro errore) per abbassare la saracinesca sul calcio giocato ed entrare nell'incubo. In quel minuto ho quindi pensato di tutto ma alla fine, anziché sentire la pallottola penetrarmi il cuore, ho udito un urlo da parte di un gruppetto di tifosi al centro della tribuna principale che in pochi istanti si è propagato come fiamme su benzina, coinvolgendo e travolgendo tutti e dando il via alla festa. 

Vincere è la cosa più difficile che ci sia, ha sempre ricordato il buon Sacchi. Ed è vero, non conta la categoria. La cosa vale mentalmente ad ogni livello, e la serie D, dal canto suo, amplifica questa difficoltà, perchè è l'unica dove a vincere è uno solo (play off che danno solo diritto a ripescaggi). Un girone a venti squadre poi è ancor più logorante e ricco di insidie. E poi: contro chi te la stai giocando? Se hai il Como dietro non è come essere inseguiti da una realtà "normale". Hai una piazza gloriosa, un nome, un pubblico che possono rivelarsi valore aggiunto. Già, possono... Noi siamo stati per i lariani quest'anno come la coda di stoffa appesa fuori dal "Calcinculo", la giostra a catene che adoravo da bambino e che annualmente veniva montata durante la sagra di S. Michele, nel mio paese: a ogni giro cerchi di afferrarla, sporgendoti e avendo anche l'illusione di raggiungerla, ma alla fine restavi quasi sempre deluso, perchè il gestore sapeva dove collocarla, in quel punto che permettesse a te di sognare ma a lui di risparmiarsi il biglietto che sarebbe stato costretto a regalarti se riuscivi nell'impresa. 

Eppure la cavalcata è stata difficile, con loro sempre dietro a tallonare (la leggenda della rimonta che avrebbero fatto è destinata a rimanere tale, hanno girato a fine andata a -5 e hanno finito il girone di ritorno a -1, quattro punti in diciannove partite, le rimonte sono altre), il primo posto che alla faccia di Andreotti ha da subito iniziato a logorare anche noi, nonostante i proclami di sicurezza e tranquillità che cercavamo di far arrivare all'esterno, ogni domenica c'era il rischio di vedersi acciuffati e rischiare di cambiare prospettiva nel finale di stagione. 

E' stato un capolavoro di gestione. Il Gozzano era (ed è) formato da un parco giocatori di altissimo livello tecnico, con personalità forti e spigolose. Il difficile non è mai stato portarli a giocare un buon calcio (tolti momenti molto circoscritti di calo che tutte le squadre hanno, anche quelle che vincono), ma farli coesistere nonostante le differenze anche marcate, portarli a conoscersi, scoprirsi, accettarsi come singoli per poter eccellere come collettivo. Il tutto in punta dei piedi, a volte quasi di nascosto, per non fare ombra a chi doveva spesso pensare di agire di propria iniziativa. Il ruolo dell'allenatore è incredibilmente delicato in tal senso, considerando che si trova in mezzo a svariate correnti, vaso di coccio in mezzo a vasi di piombo.

Il day after è il giorno della festa, dei meriti condivisi, dei complimenti e delle pacche sulla spalla. Al resto ci penseremo dopo. C'è una poule scudetto da onorare adesso, oltre che una festa giustamente da completare. Tra vent'anni ogni calciatore, dirigente o tifoso si guarderà indietro e ricorderà soltanto i momenti belli, dimenticando screzi, incomprensioni ed errori, che sono normali in percorsi di lavoro così lunghi e difficili, ma che le vittorie, specie quelle epiche, hanno il merito di saper cancellare per lasciar spazio alla gloria.